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Alberto Vettori,  diplomato all’Accademia di Belle Arti  di Bologna, vive ed opera a Parma.

Il suo percorso pittorico, la cui matrice informale è ben evidente fin dagli esordi, lo conduce a ricercare i significati nascosti e reconditi dei materiali su cui lavora (lenzuoli, assi di legno, cemento, gesso) concependo l’opera come una stratificazione di segni impressi o calchi e cancellature. 

“Un’asse di legno, riflessa e speculata dal colore, diventa l’invenzione di tensioni s/doppiate”. Sovrapposizioni di carte veline che avvolgono o determinano forme e volumi in rilievo, su cui si imprimono trame di colori impressi da cartoni ondulati. 

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Negli anni 1980/84 gestisce, insieme ad un gruppo di artisti, gli spazi del QUADRATO TRASPARENTE, un laboratorio-galleria nel centro di Parma, in cui si avvicendano esposizioni personali e interventi spaziali.

Da questa esperienza scaturisce il bisogno di ricercare le relazioni tra opera pittorica e luce. L’intervento “Cartoni” del 1981 viene realizzato attraverso frammenti di cartone ondulato disposti perimetralmente lungo le pareti. La luce bassissima rendendo molto difficile la percezione, induce l’occhio ad una suggestione ambigua e ad un riconoscimento graduale. L’opera diventa percezione nella percorribilità.

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I titoli “Rilievi”, “Approdo”, “Esplorazione”, attribuiti ad una serie di dipinti degli anni Ottanta, suggeriscono il richiamo antropologico e memoriale che sottende quasi tutta la sua produzione pittorica. Prosegue la tecnica delle sovrapposizioni di carte veline e pressioni di cartone ondulato su supporti più leggeri, con un definirsi di forme naturalistiche evocanti fossili, stelle, conchiglie. Si distingue, in particolare, uno stilema ricorrente (semicerchio o semplice curvatura, sospeso e fluttuante nella superficie dell’opera) che riaffiorerà anche in varie produzioni seguenti. Le cromie si estendono agli ori e ai colori metallici, accentuando diversi gradi di  luminosità.

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Nonostante i molteplici passaggi e le trasformazioni in un’attività più che trentennale, la tensione verso una profondità primigenia rimane come cifra distintiva. 

Ma con i dipinti della serie “Confine” affiora una nuova tecnica: la tela inscritta in una superficie di formato regolare (100 x 70) disegna un limite visivo; i colori vengono manipolati  attraverso  colpi di spatola che incidono e graffiano; le tonalità si addensano nei contrasti. Le forme sospese delle opere precedenti perdono la loro rilevanza plastica in favore di una fluidità pittorica quasi eterea. 

La presenza di forti contrasti si ritrova in “Attesi”, opere realizzate con bitume e acido negli anni 90, in cui avviene una sorta di implosione dei colori che appaiono come squarci su un fondo nero - bruno materico. Un impasto di gialli, rossi, ori, azzurri, argenti metallici emerge dalle spatolature del bitume, con effetti tonali che evocano la pittura fiamminga seicentesca.

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Negli anni seguenti la sua ricerca lo conduce verso un itinerario progettuale (“Icone imperfette”), connesso ai luoghi mistici della meditazione e della preghiera. L’opera diviene espressione di  un’intimità devozionale, visiva e spirituale, accentuata dai toni ocra, ramati e bruni. Sulla superficie si moltiplicano nitidi contorni geometrici, delineati da brandelli di tela sovrapposti, fino a racchiudere al centro, come in un’urna luminosa, una sorgente di luce. A tratti appaiono frammenti. di fiori, allegoriche tracce delle presenze naturalistiche già evidenziate nella produzione precedente. 

Il fiore si offre in rilievo nella sua essenza effimera e nella sua caducità, come nel titolo di un’opera del 1999 : “Prima che diventi” . 

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Nel ciclo seguente, “Rosa, rosae”, il fiore costituisce il tema dominante e le opere si avvicinano al genere della natura morta. La Rosa, a tratti dissolvente o frammentaria quasi ad occultare nei toni la riscoperta di un soggetto codificato, diviene atemporale e sospensiva. E la sua bellezza si offre ambiguamente, scaturendo da tessuti preesistenti di cui viene cancellato il disegno originario. Ai graffi verticali e sferzati dello sfondo si aggiungono segni forti, linee nere e pastose che scontornano i petali. La riscrittura pittorica dei contorni conferisce al tema della rosa un nuovo ritmo poetico, determinando un’alternanza cromatica tra la luce del fondale e quella floreale.

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“Ora, foglia” è il titolo delle opere successive, prevalentemente realizzate su carta. Le forme, disegnate con un unico gesto, si svuotano e aspirano alla massima essenzialità, pur nella moltitudine di significati simbolici: dalla conchiglia alla fiamma, dalla lacrima al nodo ligneo, dalla piuma all’occhio, dal bulbo al gheriglio. 

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Ne scaturisce un alfabeto di segni, quasi ideogrammi: “ogni gesto  nel gesto forma”

Il ciclo seguente trova origine da questo nuovo alfabeto, che si  imprime su un fondo bianco, come ad iniziare una narrazione mutata. Il titolo è “Ghirigori”: si tratta di nude tele su cui viene stesa, in modo non uniforme, pittura o cementite, ottenendo una sovrapposizione di bianchi e di toni opachi, con effetto sospensivo. Segni neri, rimarcati da altri colori, si attorcigliano e si addensano con tratti istintivi, tracciati direttamente da pastelli spezzati aderenti al dito, con gesti rapidi e diretti. Il soggetto naturalistico della foglia ha perso la sua iconicità per acquisire il vigore del gesto. 

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Gli elementi che hanno caratterizzato le due produzioni precedenti convergono nei dipinti degli anni 2009-2010, in cui viene sviluppata la tecnica del pastello a olio, attraverso l’introduzione di due diverse segniche: incisioni materiche superficiali e tratti di matita copiativa. Continua la preparazione del fondo attraverso frammenti di tela raffiguranti elementi vegetali, ora amplificati o disgregati. Si addensano forme ovoidali, cavità apparenti, la cui visione trascina verso le più soggettive interpretazioni.     

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Dal 2013 si avvia il ciclo delle carte, la cui produzione continua tuttora. La prima fase, dal titolo “Mappe coincidenti”, si muove in due direzioni: un piccolo formato rettangolare (con le dimensioni ridotte di una pagina) e rotoli che, come antichi papiri, si allungano in una visione orizzontale o verticale.  Fragili protagoniste di assorbenze cromatiche, le carte diventano sistemi di segni sedimentati, matrici di opere precedenti, “scarabocchi”, che si articolano e si amalgamano inseguendo un racconto di trame differenti. Si afferma il tema naturalistico, con radici, filamenti, tralci di vite, petali, da cui si genera il “lignum vitae”, l’albero della vita, motivo iconografico richiamato da remote memorie.

In alcune opere di questo periodo, realizzate non su carta ma su scampoli di tela di piccolo formato, è riemersa una sottile matericità, evidenziata dai disegni in rilievo sottostanti. I colori si intrecciano a garbugli di segni di penna, suggerendo una  percezione visiva posta in equilibrio tra rugosità e profondità.

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“Codice naturalistico” è la titolazione delle carte realizzate negli anni 2016-2017. Un elemento che si aggiunge alle trame precedenti deriva dalla tecnica del frottage eseguita con vecchi pizzi,  percepìti come “reliquie” di un passato il cui tempo ritorna in circolare memoria. Si addensano evocazioni e autocitazioni sottratte da opere precedenti, in un rito alchemico che recupera e ricrea materiali esistenti mai dimenticati.

Colori lievi, vacui; veli di luce metallica; segni sottili di matita; scorie.

Citando Tonino Guerra: “Tutto è pulviscolo, nebbia dorata sospesa sull’ombra che sale dal basso”

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La levità della carta si presta ancora come supporto nelle opere del 2018-19, i cui titoli "Annunciazioni", "Notturno vegetale" o "Natura effimera" chiariscono bene quale sia l'orientamento pittorico: foglie e rami aderiscono alla superficie come a un nuovo suolo che diventa incontro. L'esito è "linfa che si astrae", generando sembianze naturalistiche quasi sospese in un paesaggio metafisico ed etereo.

"Annunciazione vegetale” è il titolo che raccoglie opere realizzate su lunghi rotoli di carta (dai 3 ai 5 metri) negli anni 2019-2022. Il richiamo naturalistico si rafforza e cambia in parte la propria connotazione sulla suggestione dell’avvenimento meteorologico estremo dell’ottobre 2018, ricordato come tempesta Vaia, che ha portato alla distruzione di migliaia di ettari di boschi.  

Davanti alle immagini e alle descrizioni di una natura devastata, affiora l’urgenza di un cambiamento, di un nuovo inizio che riscopra il legame spirituale tra l’essere umano e la natura. In senso iconografico, di fondamentale importanza diventa il tema dell’Annunciazione,  con particolare riferimento all’opera di Simone Martini, in cui l’angelo porge a Maria un ramo d’ulivo, una consegna inestimabile nella purezza. Si definisce così la metafora del gesto, quello che indica la rinascita spirituale ma anche l’atto pittorico. 

A livello formale si accostano e sovrappongono le impronte segniche di cartone ondulato, venature lignee, pizzi e ricami di tante opere precedenti in una sorta di memoriale artistico, i cui colori risultano molto diluiti, le tinte diafane, con la sola demarcazione delle foglie o dei rami.  “Frattali”, “Tabula vegetale”, “Natura rupestre”, “Fregio vegetale” definiscono i titoli di alcune delle opere, con un richiamo costante ad un mondo naturalistico, che è non è unicamente spazio, ma anche tempo.  

“Natura sembiante” è un’opera ideata e realizzata per il Sentiero d’arte di Torrechiara-Langhirano.

Su un supporto metallico, costituito da due lastre rettangolari, sono collocati due specchi, che hanno la sagoma di un asse di legno corrispondente alla sezione di un tronco,  su cui si scorgono tracce vegetali, le impronte di foglie o rami. La parte visibile del metallo riporta elementi decorativi evocanti forme fossili di toni bruni, riconducibili ad una dimensione arcaica (lastra di sinistra) oppure il lignum vitae, spirali più verdeggianti nella lastra a destra. La collocazione dell’opera in posizione leggermente elevata impedisce lo specchiarsi degli osservatori e favorisce, al contrario, la riflettenza del cielo o delle piante, l’assorbimento dell’ambiente circostante in una visione quanto mai dinamica. Eseguendo piccoli spostamenti, lo sguardo coglie colori, trame, linee diversissime e continuamente cangianti, non solo nella stagione ma anche nell’attimo meteorologico.

Concettualmente, l’albero si pone come l’archetipo della civiltà, elemento di congiunzione tra un paesaggio remoto (il paleolitico a cui risale la prima raccolta dell’uva) e quello attuale, composto da vigneti ordinati, rigogliosi e curati. E’ come se avvenisse una contrazione del tempo (la storia) e dello spazio (il paesaggio) in questa sorta di stele che, pur priva di citazioni iconografiche esplicite, assume una valenza spirituale. 

Con “Erbario” prosegue l’ideazione di opere di pitto-scultura, concepite per essere inserite in ambienti naturalistici suggestivi; in questo caso, un’area di coltivazione di lavanda sull’appennino bolognese.  Costituita da quattro stele di vetro supportate da piedistalli in ferro, la tecnica di esecuzione sviluppa l’assorbenza di vari materiali (pizzi o ricami, così come elementi vegetali) alternandola e ponendola in contrasto con la trasparenza e la riflettenza del vetro. La visione di ogni singola stele asseconda le variazioni atmosferiche e stagionali, dai colori solari e intensi della fioritura estiva ai toni più tenui e grigi dell’inverno, e spezza con brevi verticalità la geometria regolare del campo. 

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